Salento terra di mafia? Ma ora la società scenda in piazza

“Quello che abbiamo sempre detto – e cioè che il Salento non è terra di mafia – è stato smentito da questa operazione”. Così commentava ieri l’altro il Procuratore Cataldo Motta nella conferenza stampa a seguito della brillante operazione “Tam Tam” contro la criminalità organizzata nel Basso Salento. Un’operazione che ha coinvolto il territorio di diversi comuni nei quali hanno radici e/o agiscono i malviventi arrestati.

Devo confessare che l’ammissione che il “Salento è più terra di mafia” fatta dall’alto magistrato, mi ha gelato il sangue nelle vene. E non perché quell’allarme ci viene addosso come un fulmine a ciel sereno (altre volte Motta aveva accusato i salentini di scarsa collaborazione e di omertà quando non addirittura di solidarietà con esponenti della criminalità), ma perché essa si basa sul riscontro che alcuni “lidi” si rivolgono alla Scu per stare tranquilli! Vale a dire che non ci si affida più alla tutela e alla difesa dello Stato, inteso nelle sue diverse articolazioni: apparati inquirenti e repressivi, magistratura, governo, società civile, organizzazioni imprenditoriali, sindacali ed enti locali. A proposito di questi ultimi, mi preme far notare un elemento di non poco conto: è possibile che sette sindaci e sette comunità non si accorgono che nel loro territorio sono presenti e agiscono criminali accusati di appartenere all’organizzazione mafiosa? Possibile che nessuno veda nulla, che non si vedano gli arricchimenti tanto rapidi quanto sospetti? Ribadisce, giustamente Cataldo Motta: “ il contrasto alla criminalità organizzata non spetta solo a noi, ma anche al cittadino. Ma se il cittadino non compie il proprio dovere, allora è difficile contrastare episodi di questo tipo” Chi potrebbe mai smentire questa sacrosanta verità e sottovalutare ancora questo pressante appello di Motta? Non è giunto il momento di fare un serio esame di coscienza? Partendo, in primo luogo, dai soggetti organizzati, dalle espressioni della cosiddetta società civile, dalla scuola e dalle associazioni culturali, dai singoli imprenditori. Ai quali, va fatto sentire tutto il sostegno della società che “circonda” la loro impresa; ai quali va dimostrato che la necessità di credito non può essere soddisfatta solo quando le garanzie reali sono dieci volte il prestito avuto; ai quali la pubblica amministrazione non può pagare i lavori eseguiti con sei mesi di ritardo; ai quali imprenditori va fatto capire chiaramente che denunciare l’estorsione subita li toglie dalla condizione di isolamento e quindi dal maggior ricatto. Ma per fare tutto questo vi è necessità di parlarsi chiaro e in modo concreto. Perché le forze politiche non si occupano più del fenomeno della criminalità e della minaccia che essa ha sia sul diritto di fare impresa come sul diritto di viveri da cittadini liberi? Perché le associazioni imprenditoriali, tutte, non fanno quello che ha fatto la Confindustria siciliana, ovvero espellere dai propri associati anche gli imprenditori collusi?

 Caro Procuratore Motta, è tutto qui lo sforzo che lei ci ha richiesto ancora una volta, e che va fatto! E non dovremmo partire da zero solo se recuperassimo e aggiornassimo quello che il Salento seppe fare nella prima metà degli anni Novanta: cinquemila imprenditori in piazza S. Oronzo. Una manifestazione preceduta da tante discussioni in ogni comune, nelle scuole, nei luoghi di lavoro e nelle sedi sindacali e imprenditoriali. Insomma, o scende in campo l’intera società salentina oppure non faremo più in tempo a bloccare il diffondersi e il radicarsi della cultura mafiosa! 
Sono sempre da apprezzare le iniziative del Prefetto di Lecce, che cerca con i mezzi a disposizione di suscitare reazione e creare anticorpi, quale ad esempio il protocollo sulla sicurezza, e cosi via; è importante vederla recarsi nelle fabbriche colpite dagli atti intimidatori, come quelli avvenuti nella zona industriale di Casarano. Ma a che serve tutto questo quando poi si legge una dichiarazione del sindaco di quel comune che dice: “stiamo allestendo il servizio di vigilanza elettronica nella zona industriale, ma come facciamo a garantirlo anche di notte quando la centrale operativa della polizia urbana è chiusa? “ Ma il sindaco non sa che con una modesta spesa mensile il servizio di vigilanza notturno potrebbe essere garantito, anche con il pronto intervento di pattuglia, da parte di un istituto di vigilanza privata? Lo sa il sindaco che la spesa richiesta è di gran lunga inferiore a quella di un contributo che si concede per fare, a volte, manifestazioni culturali di dubbio gusto? 

Concludo con un’altra considerazione: possiamo ritenerci appagati dell’importante attività svolta dallo sportello antiracket, finanziato dal Ministero dell’Interno? Mi pare che sia stata la stessa responsabile a denunciare che, all’incontro da lei promosso nei giorni scorsi, non si sia presentata nessuna associazione. C’è solo disinteresse o anche qualcosa d’altro? 
� Credo che qualche risposta  a queste domande sarebbe davvero utile a tutti.
Gigi Pedone – dell’Esecutivo della Claai Puglia.